mercoledì 12 giugno 2013

Editoriale.

Giugno 2013







Hanno (quasi) tutti ragione
Le situazioni di crisi, in genere, sono rese riconoscibili dal fatto che le cose non funzionano ma è difficile dar torto a qualcuno. E questo è evidente soprattutto quando le crisi sono più acute, e cioè quando assumono la forma di cedimenti di struttura. Non è vero, infatti, che situazioni simili sono determinate da colpe individuali. È vero, piuttosto, l’esatto contrario, e cioè che le crisi più acute sono determinate da ragioni individuali, o meglio da ragioni solo individuali, incapaci di (o impossibilitate a) saldarsi alle ragioni altrui in una visione organica del bene comune. Perché è quando tutti parlano ma nessuno capisce o può capire quel che l’altro dice che le cose iniziano ad andare alla deriva, senza una guida e senza un freno.
Un esempio di quanto fin qui affermato lo possiamo ritrovare anche nelle recenti frizioni tra Giuseppe Patrizi, Commissario Straordinario della Provincia di Frosinone, e Ciro Attaianese, Rettore dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale. Perché quando, a inizio giugno, il primo ha affermato che l’Ente da lui presieduto non potrà continuare ad erogare fondi per il sostegno delle sedi distaccate dell’Uniclam a Sora, Frosinone e Terracina, il secondo ha avuto ogni ragione per andare su tutte le furie. “Sono allibito”, ha detto Attaianese, per una politica che “si interessa dell’Ateneo solo quando vuole posti in Cda” e che “poi, quando si tratta di fare sacrifici per l’Università, si tira indietro”. Sono parole molto comprensibili: la sopravvivenza delle sedi distaccate dell’Uniclam comporta benefici non solo in termini di servizi formativi per il territorio, ma anche in termini di vitalità della nostra economia. Ed altrettanto comprensibili, per le stesse ragioni, risultano le parole di Sara Battisti, segretario provinciale del Partito Democratico, che si è detta “sconcertata” per le parole di Patrizi ed ha auspicato che “i riferimenti istituzionali del Pd e del centrosinistra” contribuiscano a cercare soluzioni alla questione.
Tuttavia, leggendo le parole che Giuseppe Patrizi ha affidato ad un comunicato stampa del 4 giugno, con il quale ha inteso replicare ad Attaianese, è difficile dar torto anche a lui. Perché il suo assunto di fondo è: la Provincia ha tutta l’intenzione a contribuire al sostentamento delle sedi distaccate dell’Ateneo cassinate, ma – ed è questo il tasto dolente – le risorse necessarie, “pur essendo nominalmente accreditate al nostro Ente, per cifre ormai molto considerevoli, non ci vengono trasferite dai livelli amministrativi superiori. Né le ristrettezze di bilancio, le cui provvidenze dalla Regione e dallo Stato, negli ultimi due anni, sono state sostanzialmente dimezzate, ci permettono di anticipare alcunché”. Il che, in altre parole, significa che l’erogazione di fondi provinciali soffre “di ritardi non dovuti alla nostra volontà”.
Occorre, dunque, salire ancora più in alto per individuare le responsabilità di questa situazione. Bisogna guardare alla spending review attuata dal governo Monti, al debito pubblico, alla crisi dell’eurozona ecc. Ma, per non farla lunga, dirò che, a mio parere, anche gettando il nostro sguardo su Angela Merkel e Mario Draghi potremmo constatare che, in fin dei conti, anche le loro scelte sono dettate da ragioni comprensibili e non dalle logiche oligarchiche e cospirazionistiche che molta stampa nostrana gli attribuisce. Però – e così torniamo al punto di partenza – avranno anche tutti ragione, come scriveva Paolo Sorrentino in un suo romanzo di qualche anno fa, ma è del tutto evidente che, in questo modo, le cose non funzionano.
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Il Consiglio degli Studenti si è riunito per la prima volta il 23 luglio del 2012. Due giorni dopo Riccardo Carnevale, rappresentante eletto nelle file di Rinnovamento Universitario, ha presentato ricorso al fine di annullare quella seduta, poiché egli non poté presenziarvi a causa della sua mancata convocazione. Ed il 2 maggio di quest’anno il Rettore Ciro Attaianese, con il decreto rettorale 290/2013, gli ha dato sostanzialmente ragione, riconoscendo che «il difetto di convocazione esiste» e che, dunque, occorre rimettere mano ai provvedimenti presi il 23 luglio scorso. Non a tutti, però, perché, considerato “che è nell’interesse dell’Ateneo ristabilire una corretta composizione del Consiglio degli Studenti” e che “il Rettore in regime di autotutela può procedere ad annullare i provvedimenti da lui assunti e conseguenti alla delibera del Consiglio degli Studenti del 23 luglio 2012, quale, in particolare, la designazione del Rappresentante degli Studenti nel Nucleo di Valutazione”, ha annullato solo questa nomina e non le altre decisioni prese in quell’occasione. Il che, in concreto, significa che Raffaele Papa, eletto con Ultimo Banco, non siede più in seno al Nucleo di Valutazione ed ora occorre che il Consiglio degli Studenti lo sostituisca.
Ed è su questo punto che la politica studentesca entra in fibrillazione. Perché nonostante Christian Ljiljanic, presidente del Cds, auspichi che il voto sul successore di Papa – fissato per la settimana prossima – avvenga all’unanimità, pare del tutto evidente che le forze in campo non potranno che dar vita ad una politica di accordi che potrebbero avere l’effetto di ridefinire la maggioranza consiliare. Né Ultimo Banco né la neonata Primavera Studentesca, dopo il “divorzio” consumatosi ad aprile, hanno i numeri per potersi imporre in solitudine, ed è molto verosimile che si mettano in cerca del sostegno di una delle tre forze di minoranza (Avanguardia Studentesca, Rinnovamento Universitario, Obiettivo Studente). Le quali, ovviamente, non farebbero, qualora venissero chiamate in causa, niente per niente.
Post scriptum. Ricapitolando brevemente: le sedi distaccate di Sora, Frosinone e Terracina sono seriamente in pericolo; il panorama politico d’Ateneo è in fibrillazione in vista del prossimo Cds. Ora: non credo sia legittimo chiedere ai rappresentanti degli studenti di disinteressarsi dei nuovi, potenziali equilibri che potrebbero nascere all’indomani della nomina del nuovo rappresentante studentesco all’interno del Nucleo di Valutazione. Credo anche, però, che sia doveroso chiedergli di dire qualche parola – giacché non mi risulta ci siano state prese di posizione di sorta – sulla questione-sedi distaccate. Perché d’accordo: la politica, specie quando è percorsa da scosse d’assestamento, deve cercare nuovi equilibri. Ma non può farlo disinteressandosi della sua prima ragion d’essere, che è quella di tutelare gli interessi e i diritti delle persone che rappresenta. 

Tommaso Di Brango





Una primavera con tante, troppe piogge


Una conta. Questo e nulla più, sono state le recenti elezioni del Cnsu. Una conta che alla fine ha visto scomparire dalla massima assise la rappresentanza dell’Ateneo di Cassino. Una conta che è servita molto ai rappresentanti per preparare il campo in vista del prossimo anno, ma che non ha portato beneficio alcuno agli studenti. Dunque hanno perso tutti, anche chi crede di aver vinto. Questo è il cupo e triste scenario emerso dalle consultazioni dello scorso mese di maggio. Un dato oggettivo, inconfutabile e incontrovertibile. Questa, giornalisticamente parlando, è l’unica vera notizia emersa dalle consultazioni. Ma veniamo alla politica politicante: roba da Prima Repubblica, ma che fa divertire ancora molto i rappresentanti degli studenti, o aspiranti tali. Tatticismi, dispettucci, ripicche e…ribaltoni. Come ogni buon divorzio che si rispetti, “Ultimo Banco” e “Primavera Studentesca” hanno dato prova dell’amore perduto anche durante la due giorni di voto. E resta difficile non dare ragione ai rappresentati di “Ultimo Banco” che lamentano il fatto che “Primavera” faceva campagna elettorale fuori i seggi per votare scheda bianca o addirittura nulla. I tatticismi sono il sale della politica - e bene ha fatto “Primavera” ad approfittare della tornata per iniziare a contarsi – ma poteva farlo con stile. Il biglietto da visita della nuova compagine studentesca, non è stato certamente dei migliori sotto questo punto di vista. Ma non sono solo le elezioni a gettare alcune ombre sulla neonata formazione, ci sono anche le ipotesi che parlano di un accordo “pro-tempore” tra i fuoriusciti da “Ultimo Banco” e la minoranza del Consiglio Studenti. Ipotesi mai ufficialmente smentita. Voci che circolano liberamente senza che nessuno senta il bisogno di prendere le distanze. Beninteso: gli accordi, ancor più dei tatticismi, sono l’anima della politica. Ma che non fanno però onore a chi sventola la bandiera della trasparenza e dell’onestà. Non fanno onore a chi, solo il 22 aprile scorso, scriveva: «Proprio per salvaguardare gli interessi degli studenti, si è venuta a creare questa nuova realtà, forte delle sue capacità e delle sue idee, con un’ unica ragione sociale, ovvero quella di rendere migliore questo ateneo e dare la giusta voce ad ogni esigenza dello studente». E l’esigenza dello studente sarebbe il ricorso al Rettore per annullare la seduta del Cds che ha nominato un componente ora “sgradito” al nucleo di valutazione, piuttosto che un regolamento di conti con “Ultimo Banco” per vendicarsi delle deleghe ritirate per i fondi, o peggio ancora cercare di andare in maggioranza per usufruire delle prebende anche a costo di allearsi con chi è stato aspramente combattuto fino all’altro ieri? Queste sono certamente esigenze, ed anche più che legittime: ma non certo degli studenti, non prendiamoci in giro. Più opportuno sarebbe invece spendere le energie, le intelligenze e tutto il capitale umano a disposizione, per sensibilizzare i ragazzi alla vita universitaria attiva (le percentuali delle ultime votazioni sono imbarazzanti e indicibili) aggregandoli intorno ad un progetto politico che abbia una chiara identità e una specchiata moralità, e spiegando loro che l’Ateneo non è un semplice laureficio ma molto, molto di più. Chi suona le trombe alla “Primavera” a ogni piè sospinto, magnificando e glorificando sempre il suo arrivo nonostante le piogge, non sa quanto male gli vuole: tra persone che si apprezzano e si stimano, la lesa maestà non ha cittadinanza. Gli elogi agli infallibili e agli incriticabili non valgono a nulla. Anzi, non sono neppure elogi: sono servi encomi.

Alberto Simone

 

martedì 23 aprile 2013

L’editoriale





L’editoriale

Se facessi vincere la vanagloria, potrei ora quasi gioire. La realtà avvilente della politica universitaria cassinate - e delle peggiori liste civiche del pianeta Terra, con dentro tutto e il contrario di tutto - ha dato spietatamente ragione ai “disfattisti” di Vox Studenti. A Virginia, a Giovanna, a Tommaso, a Gianluca e Mario. Ai nuovi membri della redazione che con coraggio e abnegazione stanno portando avanti un progetto tanto ambizioso, quanto sacrificato. E prim’ancora ha dato ragione a Alessandro, a Alberico, a Chiara, a Roberto, a Errico, a Tamara. Al sottoscritto. A tutto il giornale, che nel numero di gennaio 2011, ha titolato (meravigliosamente) “Ultimo Banco: sarà vera Avanguardia?”. E certo mi rendo conto che potrei andare avanti per anni con la storia dell’ “io l'avevo detto”, da dedicare ai fenomeni iper-apartitici che fino a ieri giocavano al ruolo di leader di una lista civica con dentro comunisti, fascisti, democristiani, grillini, renziani, bersaniani, dalemiani, finiani e berlusconiani, perché, dicevano: “una lista politica, non funzionerà mai, la nostra forza è il fatto di essere apartitici”. Hanno sbagliato tutto. Tutto. E Vox no. Potrei esserne felice. Ma l’autostima non mi è mai mancata. Di conferme non avevo bisogno. Il sentimento dominante, adesso, è la rabbia. La rabbia per un’occasione buttata via (da altri: da noi, no). La rabbia per veder finire la gioiosa macchina da guerra, uccisa – un po’ come il Pd - da quelle stesse diversità che vantava di contenere al suo interno.  In un editoriale di gennaio 2011 (quando ero ancora studente), dopo che una parte di Ub passò alla cassa assicurandosi due senatori accademici, scrissi: «In questa lista da un lato c’è chi con impegno e con passione si impegna per fare il politicante, dall’altro si comincia a ragionare seriamente di politica. Due modi di intendere e di fare, che ora hanno bisogno, per il bene di entrambi, di differenziarsi e caratterizzarsi per quello che sono. Il tempo, per ragioni anagrafiche, lavora per il nuovo gruppo di “dissidenti”: ristretto e magari privo al momento di una forte base elettorale nelle facoltà, ma sicuramente innovativo per il nostro ateneo e ricco di idee da sviluppare. Chi troverà il coraggio di fare questo salto di qualità e raggruppare attorno a sé un gruppo di studenti che condividono un determinato modo di fare politica, magari perderà le prossime elezioni studentesche, ma di certo avrà il merito di creare nelle nostre facoltà movimenti all’avanguardia mai esistiti finora che potranno rivoluzionare nel prossimo futuro tutto il panorama della politica universitaria cassinate». Sono passati 28 mesi, da quella mia riflessione. Quel coraggio richiesto, almeno finora, non c’è stato. E così – ormai è noto a tutti – Ub non ha vinto le elezioni dello scorso anno. Bensì, grazie a un’immensa generosità del presidente Polizzi, ha stravinto in tutto, e su tutto. Finché, a neanche un anno di distanza, la situazione è implosa. I fatti sono noti a tutti, inutile ripeterli. Inutile cercare le colpe. Anche perché, non ci sono colpe o colpevoli da ricercare. Sarebbe ingeneroso e intellettualmente disonesto non riconoscere gli sforzi compiuti dall’ex presidente – che ha traghettato Ub al trionfo – così come non si può non riconoscere il grande lavoro che stanno compiendo tutti i rappresentanti eletti. Ma fare i rappresentanti non significa stare solo al servizio degli studenti su orari, esami, tasse e quant’altro. Significa mettere in campo anche delle scelte politiche. Difficile, in questo momento storico, difendere la politica e i partiti. Ma, almeno in ateneo, in questo ateneo, già abbiamo pagato le scelte “grilline” (in questo abbiamo preceduto e anticipato il M5S) con movimenti che contengono al loro interno  tutto e il contrario di tutto, ma non hanno la cosa principale che si chiede a chi fa politica: l’identità. Per questo, se è vero che la rabbia è tanta (anche io, pur se scettico, per un attimo ho creduto liste così potessero funzionare) non demonizzerei la scissione di Ub. Anzi, mi sentirei di incoraggiarla. Ne usciranno ridimensionate certamente entrambe le parti per numero di consensi e di voti alle prossime elezioni. Ne uscirà rafforzata, invece, la parte che, più dell’altra, anziché pensare alle prossime elezioni universitarie, si spenderà, a favore delle prossime generazione di universitari. Offrendo loro la possibilità, una volta “sbarcati” in ateneo, di militare attivamente in una lista che abbia una chiara identità. Che non abbia la pretesa di far star dentro, in malo modo, riformisti e conservatori. Ma che ben rappresenti gli elettori di quella parte. Non saranno queste, o le prossime elezioni, a incoronare questo processo. Ma il tempo, com’è noto, è galantuomo. Auguri.

Alberto Simone e la redazione di Vox Studenti

lunedì 21 maggio 2012

gli articoli del numero di aprile online # copertina, editoriale, cit. del mese







Vox Studenti, aprile 2012



Un giorno questo inutile ti sarà utile.

C'è un libro di Peter Cameron, pubblicato da Adelphi (da cui hanno tratto anche un film) che si intitola Un giorno questo dolore ti sarà utile, ecco: in questa sede non mi interessa nulla né del contenuto del film, né di quello del libro, né di Cameron.
Mi interessa il titolo, o meglio mi torna utile riprenderlo come più mi aggrada, e cioè in questo modo: un giorno questo inutile ti sarà utile.
Cos'è? Forse una legge suprema, la legge suprema del giovane italiano sotto i trent'anni (e forse non solo).
Bene, cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire cercare di convincersi che tutto l'inutile che svolgiamo (scrivere; organizzare; contattare; intervistare; chiedere per sapere; portare avanti un giornale universitario senza fondi; cercare di vendere biglietti per un'ottima rassegna di teatro civile e altro), ben consapevoli del baratro che abbiamo di fronte, continuare a fare il proprio dovere (in sintesi né più né meno che quello) tenendo conto della relazione che esiste tra impegno e guadagno, continuare a sapere dentro di noi: un giorno tutto questo inutile ci sarà utile.
Un giorno tutte queste inutilità ci serviranno. Un giorno sarà servita anche l'esperienza di Vox Studenti a tutti noi? Un giorno sarà servito scontrarsi con mille dubbi e problemi che non facevano strettamente parte dei nostri doveri di studente. E un giorno tutta la nostra fatica sui libri ci sarà utile. Ricordiamocelo.

Suvvia, quella è utile: lo sappiamo! 
È utile a prescindere. Mai dimenticarlo. Noi ci crediamo, ancora. Voi? Sì, che ci credete. C'è poco da deprimersi, ragazzi, una volta svegli dal lungo sonno del 3+2, no? Deprimiamoci durante, allora. Senza lagnarsi, ci si deprima. Deprimiamoci, svegliamoci ogni mattina coi dubbi e guardiamoli in faccia uno ad uno; la scadenza della presentazione del piano di studi segnamola a margine di un foglio scrauso da mettere in agenda: nella testa lasciamo le informazioni più utili: il sapere che sta entrando e deve entrare e restare, le nozioni che il tempo filtrerà e resteranno la nostra cultura e la nostra formazione e l'attività di studenti. 

Professione: studente. È una professione. L'esame non è un'intervista a punti. Svegliamoci, tutti. Questi sono gli anni in cui star svegli, il sonno arriverà. Sono gli anni del rischio dell'impresa, sono gli anni del 'c'ho provato' e passano in fretta e di colpo, «prima a poco, a poco, poi all'improvviso»: ti ritrovi un gradino più in alto e non ti è più permesso rischiare; o: provare tanto per provare. Gli anni dell'università sono gli anni in cui si decide chi diventare nella vita, c'è poco da girarci attorno: è così. 
Non si sputa addosso alla cultura, alla formazione, non si sputa sopra la propria formazione e non si danno colpe gratuite a nessuno, a noi stessi, sì: facciamolo. Ogni tanto fa bene. Incolpiamoci, processiamoci.
Tutti lo sapevamo che era difficile la strada davanti a noi, tutti sappiamo quanti insegnanti ci sono in giro, quanti a spasso. Lo sapevamo benissimo, e lo sappiamo tuttora che fondamentalmente il mondo d'oggi ha davvero bisogno di poco e manca di tutto, che abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile al 31,9% e che siamo nel bel mezzo della crisi e di una tangentopoli senza nome. (olé, il profumo della vita è evaporato insieme a chi ha sceneggiato Amarcord e viene ricordato per un'insulsa pubblicità? No, o non del tutto. Che cos'è il tutto? Pretenzioso. No?)

Il periodo non è roseo, e Vox Studenti forse, pensate un po': uscirà in bianco e nero: sciocchezza, questa? Certo, ma in fondo è perfettamente in linea coi tempi. Il colore costa e forse non possiamo permettercelo più.

Se invece c'è una cosa che non è in linea coi tempi ma è un evergreen, un buon classico da tirar fuori quando serve, quella cosa è la mente, eh: usiamola. Sapete tutto quelle cose tipo: «il cervello è come un paracadute funziona solo quando si apre?». (Apritelo il cervello, in tempi di crisi. Cerchiamo di aprirlo, è l'unica risorsa che non può toglierci nessuno). 

Oppure, segnatevi questa, questa è bella:
«La missione di ogni uomo consiste nell’essere una forza della natura e non un grumo agitato di guai e di rancori che recrimina perché l’universo non si dedica a renderlo felice» G.B.S.

Quante volte siamo un grumo agitato di guai e rancori? E quante volte diamo all'universo – intero, eh: sì, tutto, proprio tutto – colpe che non ha? Quante volte chi fa qualcosa nella vita, e qualcosa in cui crede, si trova di fronte a uno specchio che riflette tutto l'apparente inutile e tutto il lavoro invisibile in eccedenza rispetto al guadagno che quel lavoro gli ha dato? Quante? Molte. Una marea di persone fanno i conti con tutto l'inutile – in tempo di crisi moltiplicatosi in maniera esagerata – che ruba tempo, energie e quella cosa che un tempo si chiamava 'entusiasmo'. Bella cosa l'entusiasmo, in tempi di crisi costa più della benzina che pure è arrivata a prezzi esagerati.

Ne avevo, di entusiasmo, quando ho iniziato. Ero l'entusiasmo fatto persona, poi forse ho perso entusiasmo e sono diventata più persona, si diventa adulti e a volte è tutt'altro che entusiasmante. (Gianni, tu e il tuo ottimismo, dove siete? Chiede labile una voce fuori campo).

L'entusiasmo, l'inutile, l'utile. E il dilettevole? (Che poi come ci si può divertire con un parola così vecchia e inutile? L'inutile 'dilettevole'). Vox Studenti è divertente? Dilettevole? Sì: se si ha uno scopo si prova diletto, è notorio (diletto, invece, è parola bellissima). E noi, penso, uno scopo ce l'abbiamo ancora. Noi di Vox, noi studenti, noi italiani sotto i trent'anni. Noi, tutti.

Ma anche Vox Studenti è un 'inutile', eh! Credetemi: è quanto di più inutile possa esistere (ah, lo sapete, ah: ok). Oh, noi che ci scriviamo, io e questi altri matti della nuova compagnia Vox Studenti (una specie di Compagnia delle Indie, ma con molto poco da commerciare) lo sappiamo benissimo e qualche volta forse lo pensiamo: un giorno tutto questo Vox Studenti ci sarà utile? Perché non molliamo tutto e nelle pause studio non ci divertiamo e basta?
Perché non studiamo e poi ci concediamo tanta calma invece di affannarci a fare banchetti (e non dico stravizzi, naturalmente); perché ci ostiniamo a bombardare le mail del resto della redazione per ricordare scadenze/cosedafare/cosedarileggereper?

Calma. La calma.

Ci sono periodi in cui non esiste, o forse ci sono periodi in cui per restare calmi bisogna restare in equilibrio sopra la frenesia, questo è. Sì, va beh, sarà la solita influenza di Vasco Rossi ma non si tratta di follia (il suo era «equilibrio sopra la follia», ndr), solo di pura odiosa frenesia (Vasco che tra le altre cose sembra entrato di forza anche nei titoli in libreria: Cosa succede in città, di Santarossa, e Solo colpa d'Alfredo, uscito per Cairo Editore).

Parentesi.
 Una delle tante. Finestra. Una delle tante. 
Aperte, ora: altra finestra: senti Francesco che ti sta mandando i suggerimenti di lettura per la rubrica (a fine Vox a p. 12 li trovate, e sono belli anche questi, e sono contenta); trova il tempo di rispondere a una mail importante (le mail importanti aprono gli occhi); cerca di finire l'articolo sulla rassegna di teatro civile perché così non è articolo (perché così non è); riprendi in mano la Moleskine rossa e ritaglia via tutte le cose lasciate in sospeso e mettiti a studiare, e tutto il resto, tutto quello che non è studio: un giorno, forse, anche tutto questo inutile ti (ci/vi) sarà utile. Lo so, lo so che è così. (o forse no?).

Non è un editoriale, è un editoriale in tempi di crisi di un italiano ventenne che studia, vede un futuro in bianco e nero e dice: cercherò di colorarlo. E proveremo a farlo anche in questo Vox Studenti più pezzente del solito: il vostro Vox Pezzenti in b/n.

Forse non sarà possibile ma ci proveremo. Se non sarà possibile vuol dire che era impossibile. Punto. Tutto, dico. I colori, il bianco e nero, Vox, il futuro. (Che poi il b/n è elegantissimo).

Affamati? Folli? Siate, anche, molto pratici. Siamo in crisi, per favore. C'è poco da girarci intorno. Che sia una mente pratica la nostra, in tempi di crisi, praticamente.

Tamara Baris



gli articoli del numero di aprile on line # (t)-writ(t)er


gli articoli del numero di aprile online #10


Dead Kennedys: la faccia “cattiva” del punk.
Nella musica è un po’ come nella letteratura, si tende sempre a “periodizzare” le epoche e a creare dei confini ideali in cui poter collocare gli artisti. Una comoda sistemazione da manuale, ma difficile da attuare in casi, come quello dei Dead Kennedys, in cui le sperimentazioni e l’accumulazione di generi diversi impediscono una collocazione coerente. In fondo sono le sfumature delle trasformazioni musicali che rendono questa band californiana una delle più alternative nel panorama del punk. Si, ma loro sono il volto oscuro del punk: la deriva hardcore o, come preferisce Jello Biafra, la nascita del new wave. Siamo nei mitici anni ’80, nel meglio della gioventù punk, quando questi anarcoidi ragazzotti di San. Francisco irrompono sulla scena musicale. Nel loro sound c’è tutta la violenza e la rabbia di quegli anni, della controversa politica militare degli Stati Uniti, delle nuove frontiere umane: una summa di istanze sociali non indifferenti. La trasposizione, o meglio, la traduzione sonora è composta da suoni veloci e sequenze di riff improvvise ed inaspettate. I Dead Kennedys si propongono al grande pubblico davvero in pompa magna: con un nome provocatorio a dir poco per i supernazionalisti statunitensi e con la copertina del primo disco ufficiale, Fresh Fruit For Rotting Vegetables, in cui c’è un ovvio riferimento alle White Night Riots. Difficile da vendere un prodotto ideologicamente sconveniente, eppure la sostanza musicale non mancava affatto. Se ne accorsero per primi gli inglesi, ormai più vicini storicamente al momento d’esaurimento della parabola del punk. E strano a dirsi, proprio Kill the poor sembra la parodia del genere britannico, fantastico! Sicuramente l’idea malsana del rock e del punk rimase uno dei motivi di riconoscimento del loro marchio musicale, ma le sperimentazioni sonore portarono la band ai confini con l’hardcore, in un territorio ancora da conoscere. Il meglio della produzione dei Dead Kennedys è tuttavia rintracciabile in due canzoni-manifesto, uscite nello stesso disco: Holiday in Cambodia e California Über Alles. La prima è un chiarissimo rifiuto delle dittature, con riferimento al regime di Pol Pot e alla guerra sociale in Cambogia, e la seconda è la proclamazione dell’antifascismo, attraverso un duro attacco all’allora governatore della California, Jerry Brown. La storia prosegue e le provocazioni si acuiscono. Con In God We Trust. Inc., la band è costretta a fondare una propria casa discografica per vendere il disco a causa di incompatibilità con la precedente. E come poteva non essere motivo di discordia l’immagine di Cristo crocifisso su allettanti pacchi di dollaroni? Doveva immaginarlo il vecchio produttore che il simbolo di Cristo sarebbe divenuto uno degli stilemi più riconoscibili e comunicativi del punk-rock. Intanto nel novembre del 1982 esce il terzo album, Plastic Surgery Disasters, e nell’ottobre del 1985 esce Frankenchrist. La strada verso la fine è ormai iniziata, nonostante la brillante ripresa con Badtime for Democracy, perché le esasperazioni ideologiche e musicali iniziano a far crollare i consensi. I Dead Kennedys diventano ben presto l’emblema della musica deviata, con i suoi numerosi richiami a membri genitali, parolacce, uso di droghe e violenza. Inoltre la continua critica alla politica corrotta inizia a generare un sentimento malsano di antipolitica che spesso li associa a movimenti anarco-insurrezionalisti e li accusa di attacchi politici troppo gratuiti. In realtà, ciò che aveva esaurito il suo raggio d’azione non erano di certo le traduzioni e i contenuti delle canzoni, ma forse il sound ancora acerbo del proto-hardcore, ancora incompreso, e delle continue sperimentazioni musicali, fatte di contaminazioni e riprese che vanno dal rock al country. Soltanto negli ultimi anni si è riscoperta la portata musicale di questi figli della rabbia, dopo la pubblicazione di un dvd con i concerti dal vivo della band. Forse un po’ di sano rancore ci servirebbe per riscattare la nostra memoria e rivendicare i nostri diritti, invece di sentire l’improponibile inquinamento acustico propostoci da tv e radio di recente. La musica deve permetterci di coltivare l’intelligenza, sempre.
Virginia Machera